Chiamale se vuoi coincidenze.


26 Mag 2022

Intervista a Massimo Trevisan , Senior Product Manager di Komatsu Italian Manufacturing

Chiamale se vuoi coincidenze.

Massimo Trevisan si racconta su Reach, il magazine Human2human di Richmond Italia powered by Il Bullone.

Qualcuno le chiama “coincidenze”. Qualcuno “corsi e ricorsi della vita”.
In effetti, a guardare la mia vita un po’ da vicino, pare di intravedere un copione preciso.
Fino a vent’anni ero un ragazzo estroverso, vorrei dire esplosivo. Poi, a ventun’anni, è intervenuto un fatto che mi ha cambiato per sempre: mio padre è morto all’improvviso per un aneurisma cardiaco. Mi sono venuti a chiamare: “Vieni, Massimo, tuo padre sta morendo”.
Mi è morto fra le braccia.
Quel momento è sempre vivo nella mia memoria, non posso dimenticarlo.
Io vengo da una famiglia umile di agricoltori di Lozzo Atestino, in Veneto.
Sono stato tirato su a pane e valori, valori veri come il rispetto, il lavoro, la serietà. Di soldi non ne giravano tanti, ahimé, in compenso ho ricevuto in dote un telaio robusto e adeguato con le istruzioni per l’uso della vita.

Era il lontano 1980 e avevo sedici anni quando ho iniziato a lavorare
come apprendista in una fabbrica metalmeccanica.
Ho imparato a saldare, a verniciare e a stare sulle macchine utensili.
Dopo sei anni, in un momento di crisi finanziaria dell’azienda che non riusciva a pagare gli stipendi, ho trovato un nuovo posto di lavoro.
Purtroppo la mia felicità è stata offuscata dalla perdita di mio padre,
avvenuta esattamente una settimana dopo.
Nei due-tre anni successivi ho attraversato un periodo piuttosto duro.
Io sono il terzo di quattro fratelli, e rispetto ai due più grandi mi sono sempre sentito un po’ come un figlio unico: diverso, indipendente, certamente più chiuso di loro. Non riuscivo ad aprirmi e così ho imparato subito ad affrontare i problemi in prima persona.

Fu allora che mi sono avvicinato alla filosofia orientale, un ambito che assecondava la mia introspezione
Ho letto molto. Sono partito da Siddharta di Hermann Hesse, un libro che fra l’altro ho riletto proprio di recente. Mi ha stregato, lo percepivo come un punto di orientamento: si sa come sono i giovani, hanno bisogno di avere
dei riferimenti, specialmente se positivi.
Da lì, ho allargato la mia curiosità allo zen e alla ricerca dell’equilibrio e del benessere interiore. Ma certamente non mi sono staccato dalla realtà.

In fabbrica iniziavo alle sette del mattino, e lavoravo per dieci ore.
Quando l’azienda chiedeva straordinari, non ero il tipo da fare passi indietro.
Nel 1986 ero entrato come saldatore nell’azienda in cui lavoro ancora
oggi, Komatsu; solo che allora si chiamava Fai. L’azienda era florida, i volumi aumentavano e le opportunità di crescita non mancavano.
Dopo un anno sono passato al reparto montaggio in uno stabilimento nuovo. Lì ho iniziato il mio percorso di crescita professionale
che, grazie anche ai tanti corsi di formazione, mi ha permesso
di diventare quello che sono ora.
E questo senza abbandonare il mio percorso di crescita personale, leggendo molto e ascoltando tanta musica.

Sono in pochi, credo, a volere che il proprio figlio o la propria figlia facciano gli operai in fabbrica. Eppure nei luoghi di lavoro la figura dell’operaio è cambiata molto.
Oggi gli operai governano macchine molto complesse, hanno nozioni di informatica e dispongono di competenze molto robuste.

La tradizione industriale giapponese ha sempre dato molta importanza alla crescita delle persone nel loro contesto lavorativo.
Lo chiamano Gemba, ed è il luogo in cui si costruisce il vero
valore dell’azienda. E un’altra nozione teorico-pratica che viene dal Paese del Sol Levante, il Kaizen (che significa miglioramento
continuo), prescrive alle persone che progettano le macchine di parlare con le persone che usano le macchine, perché loro sanno dove si annidano i problemi. La qualità non la fa chi controlla, ma chi lavora.
E lo stesso vale per la sicurezza: non la fa chi controlla, ma chi lavora.

Continua a leggere l’intervista a Massimo Trevisan su Reach e scopri il Magazine Human2Human di Richmond Italia con cui vogliamo dare voce al lato più umano del business.

Reach è anche il nostro progetto di Responsabilità sociale: è scritto e prodotto da Il Bullone, la fondazione che attraverso progetti di comunicazione integra ragazzi affetti da patologie croniche e li aiuta e re-inserirsi nel mercato del lavoro.

Se vuoi aiutarci a sostenere le attività de Il Bullone, fai una donazione e richiedi le tue copie di Reach.

Categoria: