A tu per tu con Luca Altieri
26 Mar 2020
Chief Marketing Officer di IBM

A febbraio del 2016 viene nominato Chief Operating Officer di IBM
Italia e a settembre dello stesso anno assume la carica di Direttore
Marketing (CMO). Entra in IBM verso la fine degli anni Novanta,
occupandosi inizialmente di web sales, assumendo poi nel corso del tempo
ruoli con responsabilità sempre maggiori, tra cui quella della
strategia di e-Business e dell’online commerce a livello mondiale.
Nel
gennaio 2013 diventa Executive Assistant del Presidente e
Amministratore delegato di IBM Italia; l’anno seguente entra a far parte
di In.Te.Sa, azienda controllata da IBM, prima come Direttore Generale e
poi come Presidente e Amministratore Delegato.
Buongiorno Luca e grazie per aver scelto di prendere parte alla Venticinquesima edizione di Richmond Marketing forum! Quali sono gli aspetti più interessanti di questo format e cosa ti aspetti dalla partecipazione all’evento?
Mi aspetto che vi siano delle opportunità di networking e condivisione di idee su come coinvolgere il “nuovo consumatore”. Ma anche un confronto sulla diffusione e comprensione delle nuove tecnologie e di come queste stiano influenzando le modalità di acquisto, che dovrebbero favorire la definizione di linee guida nuove sul modo di fare marketing.
Covid-19: prima emergenza sanitaria nell’era dei social media. Osservando le attuali reazioni fuori e dentro il nostro Paese, quali potrebbero essere gli scenari più probabili nell’immediato futuro e quelli a lungo termine?
L’emergenza Coronavirus ha messo in evidenza l’importanza di tutto ciò che è rete, virtuale e online, di fatto l’unico modo che abbiamo in questi giorni per poter continuare a lavorare, studiare e comunicare con amici e parenti.
Oggi occorre dimostrare senso di responsabilità restando a casa, quindi abilitare il lavoro a distanza è diventato essenziale.
Poi l’e-learning: con scuole e università chiuse, si ricorre a video-lezioni e streaming, insegnanti e studenti chattano e si incontrano su piattaforme virtuali.
Anche le strutture sanitarie sperimentano i consulti da remoto per alleggerire un sistema sotto pressione, e la psicoterapia è portata avanti a distanza, in videoconferenza, per non abbandonare il legame con i pazienti in questo momento di difficoltà.
Assistiamo dunque ad una vera corsa a Smart working, smart learning, virtual meeting, e-commerce e connessioni.
In un recente Pulse su Likedin ho paragonato il virus al “Cigno nero dell’economia digitale”, la situazione teorizzata dal filosofo e matematico Nassim Nicholas Taleb che si riferisce a eventi inaspettati di grande portata, improbabili, ma con conseguenze che finiscono col giocare un ruolo cruciale sui mercati, a volte anche sul corso della storia.
Penso davvero che dobbiamo sforzarci per trasformare questa crisi in una preziosa occasione.
Stiamo vivendo una vera e propria tragedia che sta impattando a 360 gradi il nostro mondo: emergenza sanitaria, la nostra vita quotidiana, l’economia, ma voglio anche evidenziare che al tempo stesso ci offre un’opportunità di compiere quel tanto atteso salto nella digitalizzazione del Paese.
Ricordiamoci che nel 2019 L’indice Desi (Digital economy and society index), ha collocato l’Italia al quintultimo posto.
Dobbiamo e possiamo fare in modo che il colpo di acceleratore sulle
attività digitali dato dal virus non sia limitato alla contingenza, ma
si trasformi in un rinnovamento strutturale e culturale di lungo
periodo, diventando “business as usual” per le aziende e la Pubblica
Amministrazione.
Solo così l’economia tornerà a crescere, e avremo
una società molto più digitalizzata, che ha saputo rispondere adottando
una nuova mentalità.
Sono ottimista: credo nelle persone e nelle nostre risorse e sono certo che ne usciremo alla grande, rafforzati e con uno spirito “digitale” rinnovato. Occorre fare sistema: aziende, istituzioni, mondo accademico e singoli cittadini devono collaborare insieme e capitalizzare gli sforzi comuni.
Agilità e capacità di adattamento sono considerate competenze strategiche imprescindibili. Ma cosa vuol dire esattamente essere “agili” e allo stesso tempo strategici?
L’agilità è il modo in cui viene concretamente realizzata una strategia.
La
parola strategia viene dal greco e si riferisce al mondo bellico e
militare: è la tecnica per individuare gli obiettivi di una guerra o di
un ampio settore di operazioni, per elaborare un piano di azione,
predisponendo i mezzi per conseguire la vittoria (o i migliori
risultati) con il minor sacrificio possibile. In sintesi, l’agilità è
come traduco in azione una metodologia che richiama la velocità di
esecuzione, la flessibilità, l’adattamento.
La Digital Transformation può essere definita una forma di “adattamento” culturale?
Preferisco il verbo adottare piuttosto che adattare.
E intendo
nello specifico adottare la Digital Transformation, ossia la nostra
cultura deve evolversi verso nuovi modelli di business e noi dobbiamo
sapere governarli.
Siamo in un’epoca di trasformazione e non è la
prima che abbiamo attraversato: questa è la quarta rivoluzione
industriale ma per non esserne sopraffatti dobbiamo essere in grado di
gestirla più che adattarci.
In questo ambito la cultura diventa
fondamentale per comprendere i vantaggi ma anche i limiti, e soprattutto
per conoscere le competenze specifiche necessarie e aprirci alle sue
potenzialità.
Poi come sta accadendo ora ci sono purtroppo
degli eventi che forzano i cambiamenti culturali e le nuove
trasformazioni: il coronavirus sta radicalmente modificando il nostro
modo di vivere, le nostre abitudini e l’adozione del digitale.
Siamo spinti ad affidarci allo smart working, all’e-learning, a sistemi di interazione a distanza. Troppo
spesso però affrontiamo il cambiamento quando non abbiamo scelta, e
come conseguenza emergono anche i nostri limiti (ad esempio a volte
mancano strumenti basilari come i Pc nelle scuole oppure una rete
affidabile).
In che modo la comunicazione digitale può migliorare l’interazione tra azienda e consumatore?
Alcuni esempi banali sono la velocità, la frequenza ed il reach.
Oggi con il digitale possiamo comunicare quando, come e dove vogliamo.
In
aggiunta si migliora la comunicazione a due vie permettendo un maggiore
coinvolgimento del consumatore e la possibilità di fornire contenuti
personalizzati arricchendo ulteriormente il messaggio che desidero
comunicare.
La tecnologia, l’innovazione e la cooperazione sono gli
strumenti che una società consapevole dovrebbe utilizzare per cambiare
il paradigma dello sviluppo, verso una crescita sostenibile e rispettosa
dell’ambiente. Le scelte sostenibili delle aziende hanno sicuramente un
impatto importante su questo fronte.
Come affronta IBM quotidianamente il tema della sostenibilità ambientale?
IBM dalla sua fondazione è impegnata nella corporate social responsibility, ed è attenta e attiva in tutti i paesi in cui opera con attività e progetti a favore della comunità.
In particolare, IBM vuole promuovere l’innovazione per tutti, non
solo per un numero limitato di persone, migliorando il business, ma
anche la vita quotidiana di ognuno di noi, anche in termini di
sostenibilità ambientale: dal laser per le cure oculistiche, alla
riduzione del traffico nelle città, fino all’Internet of Things
utilizzata per salvaguardare le specie a rischio estinzione in Africa.
Il tutto restando perfettamente coerenti con i nostri valori storici.
Non
a caso la nostra ultima campagna recita “L’intelligenza ama i
problemi.”: è l’intelligenza tecnologica che ci affianca nelle sfide che
tutti dobbiamo affrontare e che vede i problemi come opportunità per
creare soluzioni. E per rendere il nostro pianeta un mondo migliore,
passo dopo passo.
Se ti chiedessimo di spiegarci l’affermazione “pensare globalmente, agire localmente”, che cosa ci risponderesti?
Io credo che sempre più dobbiamo valorizzare il pensiero del singolo. E lo afferma una persona come me che lavora in una multinazionale dove solitamente la corporation guida e gli altri paesi eseguono. Ma ormai per essere competitivi non è più sufficiente limitarsi all’esecuzione: demandare ad altri le decisioni non è efficace. Oggi, nell’epoca della globalizzazione emergono sempre più le caratterizzazioni locali, di mercato, di paese, le peculiarità dei singoli individui. Quindi, soprattutto in un ambito come quello del marketing, è fondamentale fare il percorso contrario, “pensare” localmente e trasferire a livello globale le nostre idee.
Secondo te cosa è insito nella dicitura “Made in Italy”, che tutti noi pronunciamo con orgoglio? E qual è la strategia vincente per comunicare con efficacia questo concetto fuori ma anche dentro i confini del nostro Paese?
Made in Italy è sinonimo di qualità, eccellenza, trasparenza e fiducia.
Ma serve tutela e le tecnologie più innovative possono offrire un grande aiuto.
Ad
esempio, IBM ha sviluppato con Coop un progetto pilota sulla blockchain
per la tracciabilità delle uova, e anche con il Gruppo Grigi che ha
aderito alla rete IBM Food Trust per la certificazione della pasta
Aliveris, ottenuta da grano biologico 100% italiano con Germe di Soia
Bio e trafilatura al bronzo, distribuita non solo in Italia.
Un
altro progetto pilota è stato promosso dal Ministero dello Sviluppo
Economico in prima fila con il supporto di IBM e la collaborazione di
Sistema Moda Italia e aziende della filiera del tessile italiano per la
difesa dell’eccellenza dei nostri prodotti sui mercati internazionali,
lotta alla contraffazione e sostegno alla competitività delle imprese
manifatturiere sfruttando il potenziale abilitante del digitale.
Bisogna
partire dalle nostre eccellenze, dalle realtà grandi e piccole che
fanno innovazione e promuoverle con forza all’interno e all’esterno dei
nostri confini.
Pensi che sia possibile pilotare il pensiero delle persone attraverso azioni di marketing?
Marketers o Mentalisti?
Pilotare il pensiero non mi pare appartenere al mondo dei marketers ma piuttosto a quello dei mentalisti.
Il
ruolo di chi si occupa di marketing è principalmente capire chi si ha
di fronte come individuo, i suoi bisogni, le sue esigenze, i suoi
desideri, ma anche le sue motivazioni, non solo per soddisfare ma per
anticipare e sorprendere.
Più che pilotare credo si tratti di
riconoscere le singolarità dell’individuo e le modalità migliori per
“avvicinarlo” e coinvolgerlo.
Durante la due giorni di Richmond Marketing forum avremo anche il piacere di ascoltare un tuo intervento come Speaker su temi legati ai Big Data e all’Intelligenza Artificiale. Innanzitutto, che differenza c’è tra Realtà Aumentata e Intelligenza Artificiale? E in che modo possono diventare alleate del Marketing e della Comunicazione?
C’è una sostanziale differenza. Semplificando si può dire che per
realtà aumentata, come si evince dalla stessa definizione, si intende un
arricchimento della percezione sensoriale umana grazie a dei
dispositivi. Mentre per intelligenza artificiale si intendono dei
sistemi in grado di aumentare le capacità umane ma a seguito di una
elaborazione enorme di dati e informazioni in un tempo ridotto.
E si
possono considerare alleate in alcune dimensioni specifiche come la
profilazione del cliente, l’interazione, l’ingaggio, l’innovazione e
l’efficienza.
Parliamo invece di intelligenza emotiva. Credi che possa essere determinante per il successo della leadership?
Chi di noi non ha mai letto almeno un libro di Goleman?
Questo termine, nato negli anni 90, è ormai un mantra nelle moderne teorie di leadership aziendale.
Io
ritengo che l’intelligenza emotiva sia un aspetto fondamentale per un
semplice motivo: se poni l’individuo al centro non puoi prescindere
dall’empatia, una caratteristica essenziale per interagire in maniera
efficace.
L’intelligenza emotiva è infatti profondamente legata
alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo
consapevole le proprie ed altrui emozioni.
Una caratteristica da cui non si può prescindere se si vuole essere dei grandi leader.
Quali soft skills il marketing manager del 2020 non può non possedere?
Oggi un marketing manager deve essere anche un po’ antropologo (nel
senso che deve essere capace di comprendere a fondo ogni singolo
individuo) e sarto (per costruire “abiti”, prodotti o soluzioni su
misura).
E ovviamente non possono mancare capacità di problem solving e di comunicazione, l’empatia e una buona dose di creatività.
Tra le innovazioni che hanno accompagnato la tua carriera professionale quali sono secondo te quelle più significative?
Probabilmente non ci sono stati solo dei momenti precisi o unici ma
piuttosto un percorso ricco e articolato che si è evoluto nel tempo,
caratterizzato da tappe significative.
Ad esempio, posso citare la
creazione di un nuovo format di evento di grande successo, che è stato
premiato e poi adottato da altri paesi come il Think Milano.
Un
evento particolarmente interattivo, “aperto” verso la città e cittadini
che ho definito “pop”: una IBM nuova e “popolare”, vicina alla gente,
con tanti contenuti e messaggi da trasmettere ad un pubblico eterogeneo,
non solo agli addetti ai lavori.
Cosa ami maggiormente del tuo lavoro?
Le persone, le loro competenze, lavorare insieme come una vera squadra.
E anche offrire un valido contributo per cambiare le cose e creare qualcosa di nuovo.
C’è un mentore a cui ti sei ispirato nella tua vita professionale?
Non uno solo ma diversi.
E non mi riferisco ai grandi nomi, ossia
ai guru del marketing o della comunicazione. Anzi, non vorrei fare dei
nomi anche perché non esiste secondo me un individuo con tutte le
caratteristiche del leader perfetto. Alcuni eccellono nella
comunicazione, altri nel guidare le persone, altri ancora nel mettere in
pratica metodologie di risoluzione dei problemi oppure nel definire le
strategie.
Nel mio percorso ho cercato di cogliere il meglio dai
leader con cui ho lavorato, ma anche dai colleghi e dai miei
collaboratori.
Da ciascuno di loro ho cercato di catturare un tassello, parte di un grande mosaico in base alle diverse qualità.
Grazie Luca per averci dedicato un po’ del tuo tempo! Ti aspettiamo al Richmond Marketing forum!